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Juana Castro

Juana Castro è nata a Villanueva de Córdoba nel 1945 e vive a Córdoba. Professoressa specialista d’Educazione Infantile, è membro della “Real Academia de Córdoba de Cencias, Bellas Letras y Nobles Artes”. Collabora a numerose riviste ed è presente in molte antologie di poesia spagnola contemporanea.

Aquaria

Llovía largamente por todos los rincones.
Gotas dulces llovían por su espalda,
miel de venas azules el cabello,
arco ciego del mar.
Nalga rosa perdida,
húmeda luz, la clara
porosidad de nieve de sus pómulos.
Arroyos, mar, cascadas inundando
los brazos y las cuevas,
golondrina en el borde su mirada.
Líquida llueve, líquida
se sumerge en las algas
y una rosa de yodo, como una ventana
le florece en la sangre.

Acquaria

Pioveva largamente per tutti gli angoli.
Gocce dolci piovevano per la sua schiena,
miele di vene azzurre i capelli,
arco cieco del mare.
Natica rosa perduta,
umida luce,la chiara
porosità di neve dei suoi zigomi.
Ruscelli, mare, cascate inondando
le braccia e le grotte,
rondine nel bordo il suo sguardo.
Liquida piove, liquida
si immerge tra le alghe
e una rosa di iodio, come una finestra
le fiorisce nel sangue.

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Alfonsina Storni

Alfonsina Storni nasce a Sala Capriasca, Canton Ticino, nel 1892,  ma subito si trasferisce con la famiglia in Argentina. A Buenos Aires diventa insegnante alle scuole superiori e al conservatorio.
La sua prima raccolta è del 1916 “La inquietud del rosal”. Insieme alla cilena Gabriela Mistral e all’uruguayana Juana de Ibarbourou è inserita nella triade delle maggiori poetesse sudamericane.
Nel 1935 scopre di avere un tumore al seno e due anni dopo non riuscendo a gestire la tragedia della malattia si uccide gettandosi nell’Atlantico.

Enquentro

Lo encontré en una esquina de la calle Florida
Más pálido que nunca, distraído como antes,
Dos largos años hubo poseído mi vida…
Lo miré sin sorpresa, jugando con mis guantes.
 
Y una pregunta mía, estúpida, ligera,
De un reproche tranquilo llenó sus transparentes
Ojos, ya que le dije de liviana manera:
—¿Por qué tienes ahora amarillos los dientes?
 
Me abandonó. De prisa le vi cruzar la calle
Y con su manga oscura rozar el blanco talle
De alguna vagabunda que andaba por la vía.
 
Perseguí por un rato su sombrero que huía…
Después fue, ya lejana, una mancha de herrumbre.
Y lo engulló de nuevo la espesa muchedumbre.

Incontro

L’incontrai ad un angolo della Calle Florida
più pallido che mai, distratto come avanti.
Due lunghi anni aveva avuto la mia vita…
Lo guardai non sorpresa, giocando con i guanti.

E una domanda mia, stupida e leggera,
d’un rimprovero calmo gli empi i trasparenti
occhi, poi che gli dissi d’una fatua maniera:
“Come mai, hai adesso così gialli i denti?”

M’abbandonò. In fretta attraversò la strada,
con la manica scura rasentando la chiara
cinta di una passante che andava fra la gente.

Seguii per un poco il cappello fuggente…
poi divenne, lontano, una macchia di ruggine
e l’inghiottì di nuovo la spessa moltitudine.

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Cristina Campo

Cristina Campo pseudonimo di Vittoria Guerrini, Bologna 1923, Roma 1977.
La sua natura solitaria la portò a rifuggire da riconoscimenti e apprezzamenti. Di sé amava dire: “Ha scritto poco, e le piacerebbe aver scritto meno”. Il suo stile personalissimo, ricorrente nei diversi generi letterari da lei praticati, è caratterizzato da una spiccata tensione a far coincidere la parola con il suo significato più profondo, rifuggendo da tutto ciò che era da lei ritenuto ovvio o superfluo.
Importanti furono gli incontri con Mario Luzi e Gianfranco Draghi, che per primi le fecero conoscere il pensiero di Simone Weil, Gabriella Bemporad e Margherita Pieracci Harwell, la letterata che avrebbe curato la pubblicazione delle opere postume di Cristina Campo.
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da Moriremo lontani

Moriremo lontani. Sarà molto
se poserò la guancia nel tuo palmo
a Capodanno; se nel mio la traccia
contemplerai di un’altra migrazione.

Dell’anima ben poco
sappiamo. Berrà forse dai bacini
delle concave notti senza passi,
poserà sotto aeree piantagioni
germinate di sassi…

O signore e fratello! ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni:

“Nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta”.

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da La tigre assenza

È rimasta laggiù, calda, la vita,
l’aria colore dei miei occhi, il tempo
che bruciavano in fondo ad ogni vento
mani vive, cercandomi…Rimasta è la carezza che non trovo
più se non tra due sonni, l’infinita
mia sapienza in frantumi. E tu, parola
che tramutavi il sangue in lacrime.Nemmeno porto un viso
con me, già trapassato in altro viso
come spera nel vino e consumato
negli accesi silenzi…

Torno sola
tra due sonni laggiù, vedo l’ulivo
roseo sugli orci colmi d’acqua e luna
del lungo inverno. Torno a te che geli

nella mia lieve tunica di fuoco.

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Federico Garcia Lorca

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Federico del Sagrado Corazón de Jesús García Lorca, Fuente Vaqueros, 1898Víznar, 19 agosto 1936, è stato un poeta e drammaturgo appartenente alla cosiddetta generazione del ’27, un gruppo di scrittori che affrontò le Avanguardie europee con risultati eccellenti, tanto che la prima metà del Novecento viene definita la Edad de Plata della letteratura spagnola.

Omosessuale e apertamente a favore delle forze repubblicane, scoppiata la Guerra civile spagnola viene per questo ucciso da ignoti, probabilmente legati al movimento nazionalista.

Preciosa y el aire

Su luna de pergamino
Preciosa tocando viene
por un anfibio sendero
de cristales y laureles.
El silencio sin estrellas,
huyendo del sonsonete,
cae donde el mar bate y canta
su noche llena de peces.
En los picos de la sierra
los carabineros duermen
guardando las blancas torres
donde viven los ingleses.
Y los gitanos del agua
levantan por distraerse,
glorietas de caracolas y
ramas de pino verde.

Su luna de pergamino
Preciosa tocando viene.
Al verla se ha levantado
el viento que nunca duerme.
San Cristobalón desnudo,
lleno de lenguas celestes,
mira a la niña tocando
una dulce gaita ausente.
Niña, deja que levante
tu vestido para verte.
Abre en mis dedos antiguos
la rosa azul de tu vientre.
Preciosa tira el pandero
y corre sin detenerse.
El viento-hombrón la persigue
con una espada caliente.
Frunce su rumor el mar.
Los olivos palidecen.
Cantan las flautas de umbría
y el liso gong de la nieve.
¡Preciosa, corre, Preciosa,
que te coge el viento verde!
¡Preciosa, corre, Preciosa!
¡Míralo por donde viene!
Sátiro de estrellas bajas
con sus lenguas relucientes.

Preciosa, llena de miedo,
entra en la casa que tiene,
más arriba de los pinos,
el cónsul de los ingleses.
Asustados por los gritos
tres carabineros vienen,
sus negras capas ceñidas
y los gorros en las sienes.
El inglés da a la gitana
un vaso de tibia leche,
y una copa de ginebra
que Preciosa no se bebe.
Y mientras cuenta, llorando,
su aventura a aquella gente,
en las tejas de pizarra el
viento, furioso, muerde.

Bella e il vento

La sua luna di pergamena
bella suonando viene,
per un anfibio sentiero
di cristalli e d’allori.
Il silenzio senza stelle,
fuggendo la cantilena
cade dove il mare batte
e cantala sua notte piena di pesci.
Sulle cime della sierra
dormono i carabinieri
vigilando le bianche torri
dove vivono gli inglesi.
E i gitani dall’acqua
alzano per divertirsi
pergolati di conchiglie
e rami di verde pino.


La sua luna di pergamena
bella suonando viene.
Si è levato vedendola
il vento che mai non dorme.
San Cristobalòn nudo,
pieno di lingue celesti,
guarda la bambina che suona
una dolce piva assente.
Ragazza, lascia che alzi
il tuo vestito per vederti.
Apri alle mie dita vecchie
la rosa azzurra del tuo ventre.


Bella getta il tamburello
e corre senza fermarsi.
Il vento maschio l’insegue
con una spada calda.
Il mare aggrinza il suo rumore.
Gli olivi impallidiscono.
Cantano i flauti di penombra
e il liscio gong della neve.
Bella, corri, Bella!
che ti prende il vento satiro!
Bella, corri, Bella! Guardalo
da dove viene!
Satiro di stelle basse
con le sue lingue lucenti.


Bella, piena di paura,
entra nella casa che ha,
più in alto oltre i pini,
il console degli inglesi.
Allarmati dalle grida
tre carabinieri vengono,

chiusi nei loro mantelli neri
e i berretti sulle tempie.
L’inglese dà alla gitana
una tazza di tiepido latte,
e un bicchiere di gin

che Bella non beve.
E mentre piangendo racconta
la sua avventura a quella gente,
sulle tegole d’ardesia
il vento, furioso, morde.

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Vincenzo Cardarelli

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Vincenzo Cardarelli, il cui vero nome era Nazareno Caldarelli, nacque a Corneto Tarquinia (Viterbo) nel 1887 e morì a Roma nel 1959.
Fece studi irregolari e viaggiò molto in Italia. Fu un conversatore brillante ed un letterato polemico e severo, avendo vissuto una vita vagabonda, solitaria e di austera e scontrosa dignità. Suoi maestri sono stati Baudelaire, Nietzsche, Leopardi, Pascal, che lo hanno portato ad esprimere le proprie passioni con un senso razionale, senza troppe esaltazioni spirituali.
La sua è una poesia descrittiva lineare, legata a ricordi passati di qualunque tipo, siano paesaggi animali persone e stati d’animo, che vengono espressi con un uso di un linguaggio discorsivo e nello stesso tempo impetuoso e profondo.
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Gabbiani

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

Abbandono

Volata sei, fuggita
come una colomba
e ti sei persa là, verso oriente.
Ma son rimasti i luoghi che ti videro
e l’ore dei nostri incontri.
Ore deserte,
luoghi per me divenuti un sepolcro
a cui faccio la guardia.

Alla deriva

La vita io l’ho castigata vivendola.
Fin dove il cuore mi resse
arditamente mi spinsi.
Ora la mia giornata non è più
che uno sterile avvicendarsi
di rovinose abitudini
e vorrei evadere dal nero cerchio.
Quando all’alba mi riduco,
un estro mi piglia, una smania
di non dormire.
E sogno partenze assurde,
liberazioni impossibili.
Oimè. Tutto il mio chiuso
e cocente rimorso
altro sfogo non ha
fuor che il sonno, se viene.
Invano, invano lotto
per possedere i giorni
che mi travolgono rumorosi.
Io annego nel tempo.

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Dalai Lama Tenzin Gyatso

Dalai-Lama
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Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.
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Tenzin Gyatso, nato Lhamo Dondrub, (Taktser 6 luglio 1935) è un monaco buddista tibetano XIV Dalai Lama, Premio Nobel per la pace nel 1989 ed esponente della dottrina della non violenza.
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Robert Lowell ed Elizabeth Bishop

«Scrivo poesie per vendicarmi»

Amore, alcol, follia: le vite tumultuose di Robert Lowell ed Elizabeth Bishop

Grazie al cielo esistono le infanzie infelici, altrimenti chissà di quanti scrittori e artisti avremmo dovuto fare a meno. Prendiamo due dei maggiori poeti americani del Ventesimo secolo, Robert Lowell ed Elizabeth Bishop.

Lowell era il figlio non voluto di una coppia di bostoniani upper class, i cui interminabili litigi seguiti da una cappa di «calma isterica» segnarono la psiche del figlio in modo tragico e potentemente creativo. Bishop perse suo padre a otto mesi, e sua madre (che impazzì di dolore) a cinque anni, quando la donna fu ricoverata in un ospedale psichiatrico e non ne uscì mai più. Entrambi erano consapevoli che la solitudine patita da bambini aveva dilatato la loro immaginazione in modo abnorme e meraviglioso. Lei, pensando a Proust, si rammaricava solo di non aver «sfruttato meglio» l’ asma e la bronchite cronica ereditata dal periodo passato con i nonni paterni in Nuova Scozia, che avevano trascurato la sua salute. Lui scriveva poesie che erano «vendette nei confronti dei genitori». Che Elizabeth Bishop (bruttina, timidissima, alcolizzata e lesbica) e Robert Lowell (bellissimo, mondano, appassionato di donne e pazzo) fossero destinati a comprendersi e a diventare amici, non stupisce.

Che fossero destinati ad amarsi per trent’ anni, seppure a distanza, e a diventare l’ uno la musa dell’ altro, è un’ altra storia. Quella che racconta uno dei libri più ammirati in questo momento negli Stati Uniti: Words in air. Un libro unico nel suo genere: la corrispondenza completa tra due artisti di pari genio, le cui vite tumultuose sembrano vissute per essere descritte, analizzate e dileggiate in queste magnifiche lettere. Robert Lowell ed Elizabeth Bishop si conobbero nel 1947 a New York, a casa del critico Randall Jarrell, entrambi in un momento complicato della propria vita sentimentale. Lui aveva ventinove anni, era reduce dal disastroso matrimonio con la scrittrice Jean Stafford, sposata dopo che lei gli aveva fatto causa per averle sfigurato il volto in un incidente d’ auto. Lei, Bishop, ne aveva quasi trentasei e si stava lasciando con la donna con cui viveva a Key West, Marjorie Stevens.

Quella sera Lowell le apparve «di una bellezza poetica e all’ antica». «Era la prima volta che parlavo con qualcuno di come si scrive poesia», raccontò, e le sembrò stranamente «facile come scambiarsi ricette per una torta». Poco più tardi Elizabeth Bishop scrive a Lowell la prima lettera, felicitandosi che la sua prima raccolta Lord Weary’ s Castle abbia vinto il Pulitzer (che lei stessa avrebbe conquistato nel 1956). Lui le risponde senza giri di parole: «Lei è una scrittrice meravigliosa, e il suo biglietto è l’ unico che abbia contato qualcosa per me». Poi le racconta di un vicino che con una sigaretta ha quasi incendiato il loro palazzo, la notte prima. Lowell stesso, una volta, si cacciò una sigaretta accesa in tasca per distrazione, dandosi quasi fuoco da solo. Non tutti gli episodi autodistruttivi della sua vita furono tragici, dopo tutto. E queste lettere dimostrano che una delle cose che lui e Bishop avevano in comune (oltre all’ amore per la parola, la metrica, l’ etimologia e la metafora) era la capacità di ridere, malgrado tutto, di se stessi. Come poeti, non potevano essere più diversi.

Lui era prolifico, vigoroso, amato dal pubblico e determinato a «sporcare» la poesia con la vita quotidiana e la violenza. Lei era astratta e capace di scrivere anche solo due poesie in un intero anno, per pochissimi lettori (la sua popolarità crebbe poi con gli anni fino ad eguagliare oggi quella di Lowell). Lui gravitò quasi sempre intorno al New England e all’ Inghilterra. Lei era affascinata dai luoghi esotici e visse a lungo a Key West e in Brasile.

«Mi sembra di avere passato la mia vita a sentire la tua mancanza» le scriveva Lowell pochi anni prima di morire. Eppure sembrano quasi evitare gli incontri di persona. È la parola scritta ad attrarli irresistibilmente, l’ una verso l’ altro, non la seduzione fisica. «Mia cara» scrive Lowell che intanto collezionava una quantità di amanti e si sposava altre due volte, con le scrittrici Elizabeth Hardwick e Caroline Blackwood, «io scrivo soltanto per te». Fu nell’ estate del ‘ 57 che Elizabeth Bishop, accompagnata dall’ amante brasiliana Lota de Macedo Soares, decise di andare a trovare Lowell ed Elizabeth Hardwick in Maine, e fu un incontro infelice a cui seguirono anni ancora più infelici. Lowell era vittima di attacchi di depressione bipolare, e i suoi «entusiasmi», come li chiamava, lo rendevano così aggressivo che alle sue conferenze le università dovevano mettere in prima fila una barriera di studiosi col fisico da servizio d’ ordine. E Bishop era capace di ubriacarsi fino a perdere i sensi. E dopo il suicidio di Lota de Macedo Soares, nel 1967, certamente non migliorò.

Eppure, ricordando quell’ estate nel Maine, un giorno Lowell le scrive: «C’ è un pezzo di passato che vorrei togliermi dal cuore». E le ricorda una giornata di sole e mare alla fine della quale lei gli disse: «Quando scriverai il mio epitaffio, devi dire che ero la persona più sola che sia mai vissuta». «Ho creduto che fosse solo questione di tempo e ti avrei chiesto di sposarmi… Sposare te sarebbe stata la grande alternativa, l’ altra vita che avrebbe potuto essere». Robert Lowell morì di un attacco di cuore nel 1977 in un taxi, mentre lasciava la terza moglie Caroline Blackwood per la seconda, Elizabeth Hardwick. E fu Elizabeth Bishop a dover scrivere il suo epitaffio. Lo fece con una poesia. S’ intitola North Haven e parla di un «amico triste» che non potrà più «scomporre o ridisporre (come il loro canto i passeri)», le sue magnifiche poesie.

* I testi Tutte le lettere tra Robert Lowell e Elizabeth Bishop sono raccolte nel libro, uscito in Usa, «Words in air» (curato da Thomas Travisano con Saskia Hamilton) edito da Farrar, Straus & Giroux

Manera Livia

Pagina 33
(5 gennaio 2009) – Corriere della Sera

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Elizabeth Bishop – Insonnia

Insonnia

La luna nello specchio del comò
guarda milioni di miglia lontano
(e forse con orgoglio, a se stessa,
ma non sorride, non sorride mai)
via lontano lontano oltre il sonno,
o forse è una che dorme di giorno.
 
Se l’Universo volesse abbandonarla,
lei gli direbbe di andare all’inferno,
e troverebbe una distesa d’acqua
o uno specchio, sul quale indugiare.
Tu dunque metti gli affanni in un sacco
di ragnatele e gettalo nel pozzo
 
nel mondo alla rovescia dove
la sinistra è sempre la destra,
dove le ombre in realtà sono corpi,
dove restiamo tutta notte svegli,
dove il cielo ha tanto poco spessore
quanto è profondo il mare e tu mi ami d’amore.
 

Insomnia.

The moon in the bureau mirror
looks out a million miles
(and perhaps with pride, at herself,
but she never, never smiles)
far and away beyond sleep, or
perhaps she’s a daytime sleeper.
By the Universe deserted,
she’d tell it to go to hell,
and she’d find a body of water,
or a mirror, on which to dwell.
So wrap up care in a cobweb
and drop it down the well
into that world inverted
where left is always right,
where the shadows are really the body,
where we stay awake all night,
where the heavens are shallow as the sea
is now deep, and you love me.
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 Elizabeth Bishop Wocester 1911 – Boston 1979   è stata una poetessa e scrittrice statunitense  È considerata unanimemente uno dei più raffinati poeti di  lingua inglese del XX secolo, soprattutto negli Stati Uniti.
Viaggiò molto e visse in diversi paesi. In Brasileconobbe Lota de Macedo Soares, un’esteta proveniente da un’importante famiglia di Rio de Janeiro, con cui intrecciò una lunga relazione sentimentale, tragicamente conclusa con il suicidio della Soares.
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Igor Barreto

Ladròn de gallos

Mi vecino floricultor
me ha robado un ave muy preciada.
Se trata de un gallo color tabaco
que pastaba en una jaula
al fondo del segundo patio de la casa.
No hice ningún reclamo,
simplemente no me atreví.
Cada madrugada caminé furtivo
por la carretera de tierra
que bordea nuestras casas
y acercándome a la suya
escuché de nuevo cantar mi gallo.
Es un ave que canta como el Ángel Gabriel
espantando las sombras,
con cuatro inflexiones musicales bien marcadas.
Este modesto ritual
se prolongó por tres noches.
Tres veces aguardé el amanecer
anhelando escucharlo.
Mi vista y mi oído
se aguzaron de tal manera
en aquel último gesto
de pertenencia sobre el ave,
que sentí,
que la deuda estaba saldada.

(de Soul of Apure, 2006)

Ladro di galli

Il mio vicino giardiniere
mi ha rubato un uccello molto pregiato.
Si trattava di un gallo color tabacco
che brucava in una gabbia
in fondo al secondo patio della casa.
Non feci alcun reclamo,
semplicemente: non ebbi il coraggio.
Ogni mattina camminavo furtivo
per la strada sterrata
che costeggia le nostre case
e accostandomi a quella del vicino
ho sentito di nuovo il canto del mio gallo.
È un pennuto che canta come l’angelo Gabriele
spaventando le ombre,
con quattro inflessioni musicali ben distinte.
Questo rituale modesto
si è protratto per tre notti.
Tre volte ho aspettato l’alba
in attesa di ascoltarlo.
La mia vista e il mio udito
si sono aguzzati a tal punto
in quell’ultimo gesto
di possesso dell’uccello
da comprendere
che il debito ormai era saldato.

Anillo perfecto de pureza

Tan duro fue este invierno
que las garzas anidaron en los molinos.
Como una abeja a la puerta de su celda:
solo, solo, solo,
canto todo el día.
El silencio es mi anillo perfecto de pureza:
el círculo que una gota deja
en su breve caída.

(de Tierranegra, 1993)

Anello perfetto di purezza

Così duro è stato quest’inverno
che gli aironi hanno fatto il nido nei mulini.
Come un’ape alla porta della sua cella:
solo, solo, solo,
canto tutto il giorno.
Il silenzio è il mio anello perfetto di purezza:
il cerchio che una goccia lascia
nella sua breve caduta.

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Igor Barreto è nato a San Fernando de Apure (Venezuela) nel 1952. Ha studiato teoria dell’arte nell’Università di Bucarest, dal 1973 al 1979. Laureatosi nel 1982 per poter partecipare al laboratorio poetico del Centro di Studi Latinoamericani Rómulo Gallegos.
Barreto oltre a essere uno dei poeti più noti del suo paese è professore universitario di letteratura all’Università Centrale di Caracas e all’Università Metropolitana, ed editore (in collaborazione con altri poeti della sua generazione) della collana di traduzioni Luna Nueva.
Ha tradotto dal rumeno le poesie di Lucian Blaga e pubblicato libri per bambini. Collabora come giornalista a testate nazionali e a varie riviste letterarie. Suoi testi poetici sono stati inclusi nelle più importanti antologie sulla poesia contemporanea venezuelana e tradotti in inglese e francese e ora, per la prima volta, in italiano.

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Elizabeth Barrett Browning

 
Se devi amarmi, per null’altro sia
se non che per amore.
Mai non dire:
“L’amo per il sorriso,
per lo sguardo,
la gentilezza del parlare,
il modo di pensare
così conforme al mio,
che mi rese sereno un giorno”.
Queste son tutte cose
che posson mutare,
Amato, in sé o per te, un amore
così sorto potrebbe poi morire.
E non amarmi per pietà di lacrime
che bagnino il mio volto.
Può scordare il pianto
chi ebbe a lungo
il tuo conforto, e perderti.
Soltanto per amore amami
e per sempre, per l’eternità.
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Elisabeth Barret Browning nacque nel 1806 a Durham, Inghilterra. Visse un’infanzia privilegiata con i suoi undici fratelli in una grande tenuta ma in seguito a gravi problemi economici la famiglia nel 1837 si trasferì a Londra.
Nel 1838 fu pubblicata la raccolta The Seraphim and Other Poems che la rese una delle più popolari scrittrici del momento.. Nello stesso periodo, Elizabeth Barrett ebbe gravi problemi di salute e restò invalida agli arti inferiori costretta a restare in casa e a frequentare poche persone oltre ai familiari.
Il poeta Robert Browning le scrisse il suo apprezzamento, nel 1845 si incontrarono e poco dopo, si sposarono di nascosto e fuggirono insieme a Firenze dove ebbero un figlio, Pen.
A Firenze risiedevano in un appartamento a Palazzo Guidi oggi diventato il museo di Casa Guidi, dedicato alla loro memoria.
Aggravatesi le sue condizioni di salute, morì a Firenze all’età di 54 anni ed è sepolta nel Cimitero degli Inglesi.
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