DON DIEGO SANDOVAL DE CASTRO
ISABELLA MORRA
. . . . . . . . . . . . I FIERI ASSALTI DI CRUDEL FORTUNA . I fieri assalti di crudel Fortuna scrivo, piangendo la mia verde etate, me che 'n si vili ed orride contrate spendo il mio tempo senza loda alcuna. Degno il sepolcro, se fu vil la cuna, vo procacciando con le Muse amate, e spero ritrovar qualche pietate malgrado de la cieca aspra importuna; e, col favor de le sacrate Dive, se non col corpo, almen con l'alma sciolta, esser in pregio a più felici rive. Questa spoglia, dove or mi trovo involta, forse tale alto re nel mondo vive, che 'n saldi marmi la terrà sepolta. . TORBIDO SIRI, DEL MIO MAL SUPERBO . Torbido Siri, del mio mal superbo, or ch'io sento da presso il fine amaro, fa' tu noto il mio duolo al padre caro, se mai qui 'l torna il suo destino acerbo. Dilli com'io, morendo, disacerbo l'aspra fortuna e lo mio fato avaro, e, con esempio miserando e raro, nome infelice e le tue onde io serbo. Tosto ch'ei giunga a la sassosa riva (a che pensar m'adduci, o fiera stella, come d'ogni mio ben son cassa e priva!), inqueta l'onda con crudel procella, e dì: - M'accrebber sì, mentre fu viva, non gli occhi no, ma i fiumi d'Isabella. .
GIOCONDA BELLI
NO ME ARREPIENTO DE NADA
a veces me da por contemplar
aquellas que pude haber sido;
las mujeres primorosas,
hacendosas, buenas esposas,
dechado de virtudes,
que deseara mi madre.
No sé por qué
la vida entera he pasado
rebelándome contra ellas.
Odio sus amenazas en mi cuerpo.
La culpa que sus vidas impecables,
por extraño maleficio,
me inspiran.
Reniego de sus buenos oficios;
de los llantos a escondidas del esposo,
del pudor de su desnudez
bajo la planchada y almidonada ropa interior.
me miran desde el interior de los espejos,
levantan su dedo acusador
y, a veces, cedo a sus miradas de reproche
y quiero ganarme la aceptación universal,
ser la “niña buena”, la “mujer decente”
la Gioconda irreprochable.
Sacarme diez en conducta
con el partido, el estado, las amistades,
mi familia, mis hijos y todos los demás seres
que abundantes pueblan este mundo nuestro.
entre lo que debió haber sido y lo que es,
he librado numerosas batallas mortales,
batallas a mordiscos de ellas contra mí
-ellas habitando en mí queriendo ser yo misma-
transgrediendo maternos mandamientos,
desgarro adolorida y a trompicones
a las mujeres internas
que, desde la infancia, me retuercen los ojos
porque no quepo en el molde perfecto de sus sueños,
porque me atrevo a ser esta loca, falible, tierna y vulnerable,
que se enamora como alma en pena
de causas justas, hombres hermosos,
y palabras juguetonas.
Porque, de adulta, me atreví a vivir la niñez vedada,
e hice el amor sobre escritorios
-en horas de oficina-
y rompí lazos inviolables
y me atreví a gozar
el cuerpo sano y sinuoso
con que los genes de todos mis ancestros
me dotaron.
No me arrepiento de nada, como dijo la Edith Piaf.
Pero en los pozos oscuros en que me hundo,
cuando, en las mañanas, no más abrir los ojos,
siento las lágrimas pujando;
veo a esas otras mujeres esperando en el vestíbulo,
blandiendo condenas contra mi felicidad.
Impertérritas niñas buenas me circundan
y danzan sus canciones infantiles contra mí
contra esta mujer
hecha y derecha,
plena.
y caderas anchas
que, por mi madre y contra ella,
me gusta ser.*
Non mi pento di niente
Francisca Aguirre
.
.
.
.
.
.
.
.
Non confondetevi
E quando ormai non resterà più nulla
avrò sempre il ricordo
di ciò che non si compì mai.
Quando mi guarderanno con aspra pietà
avrò sempre
ciò che la vita non poté offrirmi.
Credetemi:
tutto ciò che pensate sia stato disastro e perdita
non è stato altro che ipotesi.
E quando ormai non resterà più nulla
avrò sempre quel che mi fu negato.
Non confondetevi: con quel che mai ho avuto
posso riempire il mondo palmo a palmo.
Tanta paura avevate da non accorgervi
della ricchezza che si nasconde nella perdita.
Sventurati,
ben poca cosa è il vostro profitto
se non avete mai perso nulla.
Io sì che ho perduto:
io, come il naufrago,
ho tutta la terra che mi aspetta.
No os confundáis
Y cuando ya no quede nada
yo siempre tendré
el recuerdo de lo que no se cumplió
Cuando me miren con áspera piedad
yo siempre tendré
lo que la vida no pudo ofrecerme.
Creedme:
todo lo que pensáis que fue
destrozo y pérdida
no ha sido más que conjetura.
Y cuando ya no quede nada
siempre tendré lo que me fue negado.
No os confundáis:
con lo que nunca tuve
puedo llenar el mundo palmo a palmo.
Tanto miedo tenéis
que no habéis advertido
la riqueza que se oculta en la pérdida.
Desdichados,
poca ganancia es la vuestra
si nunca habéis perdido nada.
Yo sí he perdido:
yo tengo, como el náufrago,
toda la tierra esperándome.
.
Jorge Enrique Adoum
Podría ser también
Recordar, cuando uno es o está solo, duele más
que imaginar: eso es lo que queremos demostrar.
El micrófono aumenta la verdadera voz, la ausencia:
se trata del viaje a una mujer como a una ciudad
a la que no se llega por invisible, por distante.
Y si uno llegara y estuviera allí, en ella,
va a tratarse, con esa música, de una separación
que será para siempre, como siempre.
¿A quién culpar? ¿Son destino el país
que no tuviste, la mujer en la que no entraste?
Una compañia – cualquiera –, más o menos conyugal,
o recién hallada, digo más o menos duradera,
nunca la querida no buscada, nunca la presentida,
destruiría esa sensación agridulce o dulceamarga
de lo que no es, lo que no fue, sin que importen
la voz o el rostro que le pertenecen,
tampoco la edad que sus piernas sostienen:
lo que no puede ser porque si fuera no sería.
En el fondo, dolería que no doliera.
Incluso que no doliera más de lo que duele.
.
Potrebbe essere anche
Ricordare, quando uno è o sta solo, fa più male
che immaginare: questo è quello che vogliamo dimostrare.
Il microfono amplifica la vera voce, l’assenza:
si tratta del viaggio a una donna come a una città
alla quale non si giunge da invisibile, da lontano.
E se uno giungesse e stesse lì, in lei,
si tratterebbe, con questa musica, di una separazione
che sarà per sempre, come sempre.
A chi dare la colpa? Sono destino il paese
che non avesti, la donna in cui non entrasti?
Una compagnia – qualsiasi–, più o meno coniugale,
o da poco incontrata, dico più o meno duratura,
mai l’amata non cercata, mai la presentita,
distruggerebbe questa sensazione agrodolce o dolceamara
di ciò che non è, ciò che non fu, senza che importi
la voce o il volto che le appartengono,
né l’età che le sue gambe sostengono:
ciò che non può essere perché se fosse non sarebbe.
E in fondo, farebbe male che non facesse male.
Persino che non facesse male più di quanto fa male.
.
Jorge Enrique Adoum (Ambato, Ecuador, 1926 – 2009) Nel 1944 entra a far parte di «Madrugada», movimento che segna una svolta nella storia della poesia ecuadoriana, accogliendo le innovazioni delle prime e delle seconde avanguardie e proclamandosi politicamente di sinistra. Tra il 1945 e il 1947, durante il suo soggiorno in Cile, lavora come segretario personale di Pablo Neruda che influenzerà le sue poesie ma già in “Curriculum mortis” (1968) e in “Prepoemas en postespañol” (1979) si definisce il suo particolare linguaggio e i suoi modi specifici di manipolazione e ricostruzione dei vocaboli. I suoi non sono mai semplici giochi di parole (spesso difficilmente traducibili), ma una forma di ribellione e di contestazione di ciò che chiama «subdemocracias cuarteleras» (sottodemocrazie da caserma).
Patrizia Cavalli
.
.
.
.
.
.
Adesso che il tempo sembra tutto mio
Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c’è richiamo e non c’è più ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.
.
Eugenio Montejo
.
.
.
.
.
.
La tierra giró para acercarnos
La terra girò per avvicinarci
Terredad
con las nubes que lleguen, con los pájaros,
suspensos de hora frágiles.
A bordo, casi a la deriva,
más cerca de Saturno, más lejanos,
mientras el sol da vuelta y nos arrastra
y la sangre recorre su profundo universo
más sagrado que todo los astros.
que un árbol, no más inexplicables;
livianos en otoño, henchidos en verano,
con lo que somos o no somos, con la sombra,
la memoria, el deseo, hasta el fin
(si hay un fin) voz a voz,
casa por casa,
sea quien lleve la tierra, si la llevan,
o quien la espere, si la aguardan,
partiendo juntos cada vez el pan
en dos, en tres, en cuatro,
sin olvidar la parte de la hormiga
que seimpre viaja de remotas estrellas
para estar a la hora en nuestra cena
aunque las migas sean amargas.
Territudine
.
Jacques Prévert
Le temps perdu
Il tempo perso
Sulla porta dell’officina
d’improvviso si ferma l’operaio
la bella giornata l’ha tirato per la giacca
e non appena volta lo sguardo
per osservare il sole
tutto rosso tutto tondo
sorridente nel suo cielo di piombo
fa l’occhiolino
familiarmente
Dimmi dunque compagno Sole
davvero non ti sembra
che sia un pò da coglione
regalare una giornata come questa
ad un padrone?
Pier Paolo Pasolini
Alla mia nazione
Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.
Gli Italiani
L’intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da uno dei milioni d’anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l’ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza –
alzare la mia sola puerile voce –
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
.
Rocco Scotellaro
Rocco Scotellaro Tricarico 1923, morì a Portici a soli trent’anni.
Tutte le opere di Scotellaro sono strettamente collegate alla società contadina lucana a cui orgogliosamente appartiene.
La sua scrittura è semplice, elementare, sapientemente costruita sulla parlata della gente, narra di terra e di gente di un sud isolato e dimenticato. L’asciuttezza lirica scolpisce i sentimenti e si carica di dolore come la stessa ostinata fatica del bracciante, quel suo ammucchiare da una parte le pietre per liberare la terra.
Gran parte degli scritti e delle composizioni di Scotellaro furono pubblicate postume, anche grazie all’impegno e all’interessamento di Rossi-Doria, e Carlo Levi suo mentore e amico.
È fatto giorno
La mia bella patria
Io sono un filo d’erba
un filo d’erba che trema
E la mia patria è dove l’erba trema.
Un alito può trapiantare
il mio seme lontano.