Che il glicine sperda le piume;
incauto il passaggio delle stagioni
sulla tua bocca che s’offre
a litanie nuove nell’evolversi dolce
di musiche in strada; la tua bocca,
offrendola, ghirlanda, alle ombre;
senza casa né quand’anche l’Africa
inventa sogni per dormirti di culla
sulle dita, donale al ripiano fragile
della candela, empia, si spegne
d’attimo il canto del cigno
sulle vie sussurrate d’origami
Quand’anche la notte perda il buio
accarezzo di ragnatela i sospiri
che m’hanno condotto fin alla tua porta
((( e intanto vivimi d’abbraccio )))
Tensione nell’autunno che s’inoltra
in inverno, svegliandosi primavera,
al tuo fianco crollo in pezzi attorno
alla tua persona, che il Sud America
cant’ancora dittature e fragilità
nel sangue dei desaparecidos,
nell’ingiustizia dei molti a chiedere
giusizia e alla finestra ricamo colle
mani aperte a palmo, linee che partano
dai tuoi capelli e arrivino nel profondo
del fondo del rumore di cuore che batte,
vivendo l’esatto contrario di perla
la notte che piovono orchidee dal cielo
((( e intanto sognami d’abbraccio )))
Che il cane di cristallo, stanotte,
abbaii i suoi ultimi lamenti di vetro,
mentre m’accorro di dita l’oasi del silenzio
Fuori, un gufo al richiamo gocciola
occhi grandi come atolli; da lontano
a qualcuno parrà di scorgere fantasmi
in movimento fluido, da vicino sarai
tu di tempesta fra le foglie a bruciarti
labbra; brucia Roma, per una volta
Nerone danza gli alisei sul collo inclinato
delle ultime stelle, prima dell’alba
((( E intanto la notte, senza proferir parola, si spegne nel peccato d’esserci )))
Alessandro Vettorato, 32 anni, insegnante ed educatore.
«Sono nato nel secolo scorso, poi son morto. Sono risorto per scrivere libri. Insegno alla scuola primaria da molto, ma ho ancora tanto da imparare. Sono educatore, ma non sempre rispondo educatamente. Faccio teatro, ma gli applausi degli spettatori mi fanno il solletico».